Quante volte ci capita di osservare sulla lineup SUP surfer che spendono gran parte delle session seduti, inginocchiati o proni sulle loro tavole da Stand Up Paddling. L’enfasi è, appunto, sul nome stesso dello sport: Stand Up Paddling! Il punto è che se non riuscite, anche in condizioni di mare increspato e ventose (entro certi limiti, s’intende) a rimanere in piedi sulla tavola per gran parte della session, non siete semplicemente pronti a gestirla ed il fatto di sfruttarla consapevolmente come un surf da onda muniti di pagaia, attendendo le onde non in posizione eretta, non vi farà guadagnare lo skill necessario. D’altro canto, fermo rimanendo che logica vuole che una SUP board stretta (sotto i 26’’ per intenderci) e dotata di scarso volume (relativamente al peso del paddler, si intende), cioè una tavola PRO, sia un punto di arrivo, non bisogna neanche pensare che impiegare tavole del genere sia proibitivo. Tutto dipende dalle proprie motivazioni, dal tempo che si può spendere in acqua e dalla propria preparazione fisica. Quest’ultimo aspetto va doverosamente sottolineato. Infatti, per quanto si possa e si debba migliorare l’equilibro su tavole estreme, queste ultime rimangono estremamente (sottolineiamo estremamente) più faticose di quelle larghe e più voluminose. Ne consegue che senza allenarsi opportunamente, anche a secco, le tavole PRO possono trasformare anche le uscite più insignificanti in autentici tour de force.
Tavole PRO. La mia esperienza
Per quanto mi riguarda il volume è una variabile di una equazione ben più complessa che comprende la larghezza della tavola ed il suo shape in generale. E’ ovvio che tavole meno voluminose più strette e ben progettate a livello di shape sono in grado di assicurare, se impiegate da un paddle surfer di livello avanzato, il massimo delle performance in condizioni di onda ripida e formata. Ho giustamente sottolineato l’importanza dello skill del paddler in quanto intendo smitizzare da subito il preconcetto che tavole del genere siano in grado di migliorare le performance di un paddler non sufficientemente preparato tecnicamente. Infatti, è vero esattamente il contrario. D’altro canto esistono shape alternativi di tipo fish e compact che offrono sicuramente migliori prestazioni in condizioni di onda irregolare, poco potente ed increspata e queste ultime dovrebbero far parte del quiver di tutti i paddle surfer, anche quelli di livello avanzato. Attenzione, quindi: non intendo in alcun modo fare l’apologia delle tavole iper-radicali ma piuttosto di parlare di esse in termini di punto di arrivo del paddler esigente. Parlo dell’appassionato che dopo aver consolidato il proprio bagaglio tecnico intende massimizzare la propria performance in presenza di condizioni di onda glassy e potente.
Quando, circa 3 anni fa, mi fu consegnato uno Starboard PRO 7’4’’X25.5’’@78 L. avevo già maturato una significativa esperienza su tavole che erano considerate, a ragione, piuttosto radicali. Ne cito tre non a caso: 6’6’’X29’’@101 L, 7’7’’X27’’@92 L e 7’6’’X27’’@76 L. Due aspetti dello SB 7’4’’ Pro mi colpirono immediatamente: la sua linea aggressiva (tavola relativamente lunga ma stretta) ed il peso. Peso? Mai mi era capitato di avere nel mio quiver una tavola così leggera, poco più di 5 Kg con pinne e tailpad (quest’ultimo lo acquistai separatamente in quanto la tavola stessa non ne era equipaggiata). Francamente ero convinto che sarei stato in grado di gestire tale SUP board in tempi ragionevolmente brevi. Dopo tutto, ero arrivato al punto di impiegare il suo fratello maggiore, il PRO 7’7’’, anche in presenza di vento sostenuto e mega chop senza faticare troppo. L’esperienza in acqua avrebbe presto dimostrato che avevo peccato di eccessivo ottimismo, se non proprio di presunzione.
La prima session. Il principio di Archimede
Il giorno successivo alla consegna della tavola la fortuna sembrava essere dalla mia parte. Pur facendo piuttosto freddo (erano i primi di febbraio e la temperatura non superava gli 8°) il mio homespot era stato raggiunto da una piccola mareggiata, con onde che superavano occasionalmente un metro di altezza, piuttosto ripide ed abbastanza regolari, a dispetto del vento di circa 10 nodi che soffiava con circa 15° dal mare. Nell’occasione indossai una muta pesante (5/4), corpetto dotato di cappuccio di neoprene e naturalmente calzari. Spinto da quell’irrefrenabile entusiasmo di provare un “nuovo giocattolo”, istinto che tutti noi appassionati di watermania condividiamo, entrai in acqua in pochissimi minuti, solo per ritrovarmi immediatamente preda della più cupa frustrazione. Fatto sta che faticavo, terribilmente, addirittura a rimanere in ginocchio sulla tavola. Riuscivo a guadagnare la posizione eretta, certo, ma la sensazione era quella di trovarmi su un tronco che veniva ruotato da qualche buontempone. In sostanza, non riuscivo proprio a trovare lo “sweet spot”, cioè una posizione di stance sulla tavola tale da garantirmi una sufficiente stabilità. A parte i (grossi) problemi di stabilità laterale, anche la galleggiabilità non mi sembrava pari a quella di una tavola di 78 L di volume, tanto che ad un certo punto non ho potuto fare a meno di pormi il seguente quesito: “Ma come? Bardato come sono il mio peso complessivo non dovrebbe superare i 72 Kg. Com’è possibile allora che l’acqua mi arrivi spesso alle caviglie anche in corrispondenza del punto di massima larghezza della tavola?”. Proprio in quei momenti di delusione e frustrazione mi venne in mente l’enunciato del principio di Archimede che recita “ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato”. Se quindi il galleggiamento di un oggetto è dovuto all’azione di due forze opposte che tendono a bilanciarsi, quella esercitata verso il basso dal peso e quindi dalla massa dell’oggetto stesso e quella invece diretta verso l’alto dovuta al fluido spostato, non è – mi domandavo – che il complesso del peso paddler + tavola dovrebbe essere preso in considerazione per rapportarlo al volume della tavola e quindi alla sua galleggiabilità? Si tratta di una domanda che giro di buon grado agli ingegneri navali e agli esperti di dinamica dei fluidi ma che forse, basandomi sulla mia esperienza diretta, comporta una risposta affermativa. Tornando a quei primi minuti di epica lotta con la tavoletta, l’altro grosso problema che dovevo risolvere era proprio quello di trovare il modo migliore per guadagnare la posizione eretta senza perdere subito l’equilibrio.
Frustrazione, panico e … motivazione
Non so ancora bene come, ma dopo circa 10 minuti in cui mi ero ritrovato esclusivamente a cercare di guadagnare un minimo di equilibrio sulla tavola, rimanendo bloccato nella zona di nessuno, quella che va dal bagnasciuga al primo break (il solo surfabile quel giorno), riuscii a superare i piccoli frangenti rimanendo in posizione eretta. Nell’occasione avevo assunto una stance ibrida a metà strada fra la surfing stance e la paddling stance. Dal momento che farlo prone sulla tavola o nuotando sarebbe stato per me inaccettabile, quella fu la boccata d’ossigeno, in termini di morale, motivazione ed ottimismo di cui avevo bisogno. Ma il meglio doveva ancora venire e si materializzò in un’onda piuttosto ripida di circa un metro e mezzo che attendeva solo di essere surfata. Il takeoff fu problematico in termini di posizionamento della tavola, molto influenzato dalla corrente in uscita che anticipava l’onda, tanto da costringermi a partire leggermente disassato ma poi … Poi fui improvvisamente proiettato in un’altra dimensione di surfata che da windsurfista accanito (tuttora) paragonerei a quella che caratterizza il passaggio da una paciosa, larga tavola wave da 85 L. ad una da 69 L stretta, la tavola che uso abitualmente a Maui per intenderci. Fatto sta che non ero mai riuscito ad andare così profondo e con così tanto controllo nella sezione critica di un’onda. E’ in quella frazione di secondo che capii che tutta la frustrazione e la fatica che avevo accumulato nei minuti precedenti e che mi avrebbero sicuramente accompagnato, sia pure in misura inferiore, lungo il mio percorso di crescita sulle tavole PRO, sarebbero state più che giustificate.
Conclusioni e FAQ
Il prossimo articolo che dedicherò all’argomento si intitolerà: “questione di stance e di postura” e prenderà in esame le tre problematiche alle quali ho accennato in precedenza: assunzione della posizione eretta, stabilità laterale e galleggiamento. Nel frattempo, vi lascio alle seguenti FAQ. Stay tuned!
D. Cosa intendi per tavola PRO?
R. Una tavola di larghezza inferiore ai 26’’ ed avente un rapporto volume/peso del paddler inferiore al 110%.
D. Ritieni che questo genere di tavole possano migliorare le prestazioni di paddle surfer di qualsiasi livello?
R. Assolutamente no. Si tratta di tavole destinate al paddle surfer avanzato.
D. Secondo te un paddle surfer esperto dovrebbe avere nel proprio quiver solo una tavola PRO?
R. A mio avviso non sarebbe una buona idea. Una tavola del genere è equiparabile ad una macchina sportiva studiata per le competizioni su pista. Se messa a gareggiare in una prova di Rally le vetture progettate per questo tipo di competizioni saranno sempre in grado di prevalere, pur scontando una minore potenza e performance inferiori nei tratti più veloci. Questo per dire che tavole studiate per eccellere nella surfata in condizioni ventose ed in presenza di onde poco potenti ed irregolari, oltre a garantire un maggiore divertimento al paddle surfer, consentiranno di ottenere prestazioni nel complesso migliori di quelle garantite dalle tavole PRO in tale contesto.
D. Quindi le tavole PRO non possono essere impiegate anche in queste condizioni?
R. No nel caso in cui un paddle surfer esperto allenato fisicamente non voglia perdere confidenza con una tavola estrema e quindi alternarla ad una tavola più comoda e maggiormente indicata a surfare le onde irregolari. Io stesso per consolidare il mio skill con queste tavole le ho usate anche in condizioni non certo ideali per esse. Dopo tutto gli spot che frequento abitualmente raramente offrono condizioni adatte alle tavole PRO. Aggiungo che se si pratica anche il kiteboarding, una tavola PRO può essere impiegata con vento leggero. Per quanto mi riguarda, proprio queste uscite hanno contribuito moltissimo a farmi guadagnare ulteriore dimestichezza con essa, soprattutto nella fase di surfata in quanto le velocità raggiunge tramite la spinta di un kite sono ben superiori a quelle della surfata stessa. E’ come se si portasse la tavola oltre i propri limiti e ci si rendesse conto, tramite cambiamenti repentini di direzione, cosa è in grado di fare e cosa invece le è negato dallo shape. Devo dire, per completezza, che mai e poi mai una SUP board deve essere pilotata sul rail e quindi facendo opposizione rispetto alla forza dell’ala. Essa va piuttosto mantenuta piatta sull’acqua anche per risalire il vento portando al contempo il kite a bordo finestra e sfruttando le pinne per la bolina. Proprio questo fatto aiuta a “sentire” moltissimo la tavola e a capirne poi ed assecondarne le reazioni rispetto allo spostamento del peso su di essa, ovviamente in questo caso sempre e solo nella stance di surfata. Comunque del SUP kite intendo parlare in un prossimo articolo.
D. Qual è secondo te il percorso migliore da seguire per approcciare questo genere di tavole?
R. Sono assolutamente convinto che il problema maggiore sia quello di gestire una tavola molto stretta e NON poco voluminosa. Il passare a tavole poco voluminose non mi ha mai creato particolari problemi in altri sport acquatici come kitesurfing e soprattutto il windsurfing. La tendenza ad affondare di una tavola può essere gestita facilmente mantenendo sempre un certo abbrivio, sia che venga fatto con una pagaia, che con un kite che con una vela. Il problema è che farlo con una pagaia ha come premessa logica quella di poter rimanere in piedi sulla tavola per poter pagaiare e se non si possiede sufficiente equilibrio per poterlo fare ecco che la mancanza di volume si sente eccome! Quindi, per rispondere alla domanda, è a mio avviso più importante, all’inizio, scendere di larghezza piuttosto che di volume. A livello di shape tradizionali (NON Compact Shape tipo SB Hypernut o Naish Raptor), passare ad una tavola più stretta di un pollice o due fa moltissima differenza in termini di peggiore stabilità.